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Processo alla stampante 3D: assolta

È stato un vero e proprio processo alla stampante 3D quello che si è tenuto lo scorso venerdì 30 settembre al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia nell’ambito di MEETmeTONIGHT-Faccia a Faccia con la Ricerca.

E come tutti i processi che si rispettino erano presenti un giudice – Franco Toffoletto, avvocato Studio Toffoletto De Luca Tamajo e Soci – un avvocato dell’accusa – Francesco Cancellato, Linkiesta.it – e uno della difesa – Stefano Micelli, Università Ca’ Foscari Venezia – alcuni testimoni – Letizia Chiappini, Università degli Studi di Milano-Bicocca, e Giovanni Lanzone, Fondazione Italia Patria della Bellezza per la difesa; eì Andrea Cattabriga, Slow/d e Rete Mak-ER e Giulio Ceppi, Total Tool, Politecnico di Milano per l’accusa – e una giuria popolare, rappresentata dal folto pubblico intervenuto all’evento.

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Il giudice del processo alla stampante 3D, Franco Toffoletto, l’avvocato della difesa, Stefano Micelli e quello dell’accusa, Francesco Cancellato (a destra)

Stampante 3D sotto accusa: giocattolo o rivoluzione?”

L’inusitata formula utilizzata per la conferenza (ideata dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci e organizzata in collaborazione con la Fondazione Giannino Bassetti) “Sotto accusa: la stampante 3D. Nuovo giocattolo o rivoluzione?”, nella quale sono stati dibattuti i pro e i contro delle nuove tecnologie, per stabilire se quella in atto sia una vera e propria rivoluzione e quali siano gli impatti che questa potrà avere sul mondo del lavoro, ha appassionato la platea che, alla fine ha emesso verdetto positivo: le stampanti 3D sono state assolte.

Ill giudice ha esordito dicendo che: «Il 10 febbraio 2011 The Economist ha scritto: la stampa 3D rende economico stampare singoli oggetti tanto quanto crearne migliaia e quindi mina l’economia di scala. La tecnologia sta arrivando ed è probabile che sovverta ogni campo che tocchi». Ma è davvero così? Il dibattito è aperto, con avvocati e testi di accusa e difesa che si alternano sul palco.

L’accusa: una perdita di tempo che democratizza l’ignoranza

Il “pubblico ministero” Francesco Cancellato ha puntato l’attenzione sugli utilizzi futili che si possono fare della stampa 3D, arrivando ad affermare che: «L’unica cosa che non si può stampare né il 2D né in 3D è il tempo sprecato e la mia sensazione è che con la stampante 3D stiamo sprecando tanto tempo».

Affermazione avvalorata dal teste dell’accusa Andrea Cattabriga che ha aggiuntoe: «Si perde tempo, perché una macchinetta con la quale riesci a sviluppare qualche piccolo pezzo può essere uno stimolo alla creatività, ma con la creatività cosa ci faccio se non transeo? Con la creatività mica ci mangio». E ha rimarcato: «Insomma, la stampante 3D è una fregatura, serve per rubare il lavoro a qualcuno e, in definitiva, ha un effetto sociale negativo».

Giulio Ceppi, oltre a porsi l’interrogativo riguardo alla necessità di stampare davvero così tante cose e sulla loro utilità, ha spostato l’attenzione sulla qualità, sul buon funzionamento e sulla durata degli oggetti stampati in 3D: chi può garantirli?

Il rischio – ha avvertito il teste dell’accusa – è di democratizzare una serie di competenze che una volta facevano parte di filiere con sì dei limiti, ma con una storia alle spalle e che fornivano una garanzia. «Questa novità – ha affermato Ceppi – produce effettivamente ancora poco, se non una grande illusione di disturbo che ancora non si è tradotto in qualcosa di vero».

La difesa: strumento per innovare e produrre, seme di una rivoluzione

«Le stampanti 3D sono già ampiamente tra noi – ha ribattuto l’avvocato della difesa Stefano Micellie funzionano piuttosto bene. I numeri parlano chiaro: in circa il 25% delle imprese italiane solide e strutturate, con più di 2 milioni di fatturato, la stampante 3D ha in qualche modo contribuito, vuoi internamente o attraverso dei service, a velocizzare il processo di innovazione dei prodotti e in alcuni casi la produzione in senso stretto».

E Giovanni Lanzone – chiamato dalla difesa a testimoniare al processo – ha puntato l’attenzione sulle enormi potenzialità delle stampanti 3D, sulla loro utilità nel realizzare, per esempio, dispositivi medici personalizzati oppure droni dalle molteplici applicazioni e pronosticando per loro un brillante futuro.

Letizia Chiappini ha definito le stampanti 3D: «Il seme di una rivoluzione, l’inizio di qualcosa che porterà un cambiamento profondo sia nel tessuto produttivo sia nella nostra vita quotidiana». E ha citato, per esempio, la possibilità di costruire – attraverso service o, in futuro, da soli – i pezzi di ricambio per gli elettrodomestici, contrastando la strategia dell’obsolescenza programmata.

«Forse l’accusa – ha aggiunto – andrebbe fatta alle aziende esistenti, a coloro che non vogliono condividere, che pensano che il processo produttivo debba rimanere chiuso». E conclude con l’invito a sognare un po’ su cosa fare con la stampate 3D.

Macché rivoluzione

La parola è tornata all’accusa: quante stampanti 3D dovremmo installare – ha chiesto il pm – per recuperare i punti di PIL persi nel nostro Paese per ogni grande industria che chiude o che si trasferisce all’estero? «Non voglio arrivare a dire che la stampante 3D sia una truffa, perché è vero, ci si possono fare tante belle cose, ma non è una rivoluzione. Rivoluzione è piuttosto quella che ci stanno raccontando gli studiosi e che qualcuno ha chiamato la fine del lavoro, perché robot e automazione, l’internet delle cose stanno completamente levando l’uomo dai processi produttivi, obbligandoci a ripensare la nostra idea di lavoro. Nel frattempo, mentre non lavoriamo e restiamo disoccupati, possiamo costruire qualche oggettino con la stampante 3D, ma quando i robot si metteranno loro a fare le stampanti 3D allora sarà il vero problema».

Concludendo, ha proposto alla platea del processo una riflessione: «Il giorno in cui (in Italia, ndr) non ci saranno più fabbriche e il giorno in cui la tecnologia prodotta da altri deciderà per esempio che il lavoro lo dovranno fare i robot e non le persone, il giorno in cui gli oggetti parleranno tra loro e il giorno in cui le micromolecole, il nanotech e tutta la tecnologia che ci siamo rifiutati di sviluppare sarà altrove, perché, tra l’altro, non abbiamo sufficientemente finanziato la ricerca, ebbene, il giorno in cui succederà tutto questo saremo ancora qui a parlare delle stampanti 3D come di qualcosa in grado di salvarci, come di una rivoluzione, come qualcosa che ci farà grandi o forse, mentre seguivamo la strada delle stampanti 3D, ci siamo persi qualcosa?».

Stampanti 3D per una società più ricca e più unita

«Dal dibattito è emerso – ha sostenuto lStefano Micelli – che le stampanti 3D non solo sono già da tempo, nella loro versione industriale, entrate nel tessuto manifatturiero del nostro Paese, sebbene non ancora abbastanza, ma anche che il mondo delle stampanti 3D è uscito dai canoni dell’industria tradizionale e ha già innervato tutta una serie di attività che hanno, per le caratteristiche descritte, un che di rivoluzionario».

«Qualcuno perderà da questa evoluzione tecnologica? – si è chiesto l’avvocato della difesa – Forse sì, però in situazioni simili non c’è tanta acrimonia. Per esempio, alcuni sostengono che l’introduzione delle nuove tecnologie nel mondo bancario porterà a una riduzione addirittura fino all’80% degli impiegati che lavorano nelle filiali. Ma non per questo qualcuno dice che si deve chiudere internet, tirar giù la saracinesca al web. Diamo per scontato che alcuni strumenti avranno delle ripercussioni sul mercato del lavoro. Sicuramente la stampante 3D è tra i più innocui di questa vicenda».

In conclusione al processo Micelli ha affermato che «Le stampanti 3D hanno il merito di fare meno cose, ma su misura per noi esseri umani, fare cose pensate su misura per chi ne ha bisogno, per mettere in moto una creatività, una voglia di esserci che è parte integrante non solo dell’economia, ma anche della società. A lungo abbiamo pensato che la partecipazione alla società fosse andare in rete, pigiare dei tasti, fare dei commenti qualche volta a sproposito su argomenti che attirano come mosche tanti curiosi. Partecipazione non è fare solo tic tic sul computer, ma è qualcosa di decisamente più interessante. È fare degli oggetti, incontrare qualcun altro, provare a trovare un legame tra questi oggetti, noi e gli altri, insomma non solo fare economia, ma rimettere in moto un meccanismo di legami, di relazioni che sono il sale della nostra società, una società che si è un po’ smarrita, ma che anche grazie a queste stampanti 3D oltre a essere più ricca, ma potrebbe essere anche più unita».

Il verdetto del processo: assolta

Il giudice ha dato quindi la parola alla giuria popolare che ha emetsspte la sua sentenza: “la stampante 3D è assolta da ogni accusa formulatale”.

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