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IDBN si rinnova a Exposanità

Il 18 maggio 2016 è la data che fissa una nuova era per IDBN (Italian Digital Biomanufacturing Network).

In occasione di Exposanità a Bologna, il direttivo ha nominato il nuovo presidente, Alberto Leardini dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, mentre Ferdinando Auricchio dell’Università di Pavia è vice presidente.

Al di là del nuovo assetto sociale, quello che conta è la rifioritura dell’associazione di esperti scientifici che vogliono confrontarsi in ottica multidisciplinare per accrescere il proprio bagaglio e divulgare l’utilizzo della stampa 3D in medicina.

A poco meno di un anno dal suo varo IDBN ha ingranato la marcia in più: nuovo sito, nuovo sistema di adesione (raccolte ben 35 in due giorni), programma di eventi, che sfocerà nel convegno nazionale che si terrà nel 2017 al Rizzoli di Bologna.

IDBN 2016
I membri dell’Italian Digital Biomanufacturing Network intervenuti a Exposanità

 

Le testimonianze di IDBN a Exposanità

Presentando l’ampio ventaglio di azioni fatte dai soci al pubblico di 3DPrint Hub presso Exposanità, Leardini ha sottolineato come in medicina oggi la stampa 3D affermi il concetto della personalizzazione e consenta di pensare al singolo paziente.
Ridotta invasività, sezioni parziali, riduzion e dei tempi chirurgici (e quindi dei osti di intervento) sono i vantaggi dell’uso della stampa 3D in ortopedia. Il flusso operativo è chiaro: per un modello personalizzato si parte dalla fase data capture, con scansioni e medical imaging. Modellazione geometrica e biomeccanica. Disegno del dispositivo. Definizione della procedura di impianto. Pianificazione della produzione in 3D, con anche la produzione di Guide di taglio per protesi custom.

Denis Romani, chirurgo ortopedico a Verona, ha usato una convincente metafora dell’uso di modelli 3D dei pazienti per gli interventi, che partono sempre da radiografie o tac: «è come costruire un modellino in Lego».
Generalmente i modelli nascono in 4-12 ore, con un costo materiale 30 euro. Conveniente. Anche perché alcuni portano il modello, dopo averlo sterilizzato, in sala operatoria: lo si sfrutta fino all’ultimo.
Realisticamente, i modelli svolgono la loro principale funzione nella fase preoperatoria, per scegliere fra le placche adatte solamente quella che serve e sterilizzando solo quella e non tutto il set.
Sono utili anche per la formazione, dato che consentono di ridurre la curva di apprendimento e per la comunicazione medico-paziente, ossia per il consenso informato.

Nicola Bizzotto, chirurgo della mano a Trento, circoscrivento l’ambito di applicazione della stampa 3D ad oggetti, chirurgia e bioprointing, ambirebbe a «portare una stampante 3D in ogni ospedale». La convenienza, soprattutto economica c’è e lo confermano le polizze sanitarie nipponiche: «le assicurazioni sanitarie giapponesi rimborseranno i modelli ossei stampati in 3D».

Tommaso Frisoni realizza protesi in titanio trabecolare presso la clinica ortopedica oncologica del Rizzoli, in particolare per le pelvi.
Ha reicordato come in oncologia serve avere un margine di sicurezza elevato, perchè chirurgicamente si va a creare un cambiamento importante. Le neoplasie sono spesso ampie, l’anatomia è complessa, il tasso di recidiva oscilla dal 28 al 70, i casi di infezione sono presenti.
Una volta si toglieva il tumore e si lasciava l’anca ballante. Poi è stata introdotta la ricostruzione protesica, con innesti ossei massivi e protesi.
Con la stampa 3D si  può fare una ricostruzione anatomica con relativa riduzione dei costi chirurgici.
Le protesi vengono fatte in titanio trabecolare (per integrazione di osso e parti molli) e tantalio. Il flusso parte dalla tac, passa alla rielaborazione ingegneristica del file, va a un service per la produzione di protesi e l’impianto è pronto in massimo due settimane. Da rilevare che in 3D si produno anche le mascherine di taglio, con notevole vantaggio per il chierurgo e ovviamente il paziente..

A proposito di ingegneri, il vice presidente di IDBN, Ferdinando Auricchio dell’Università di Pavia ha oggettivamente commentato come in generale dalla chirugia arrivino riscontri positivi dell’uso dei modelli 3D, «ma come ingegneri a volte abbiamo difficoltà a quantificare l’efficacia degli strumenti». Il tutto a fronte di un processo operativo ormai chiaro, riassunto da Stefania Marconi, phd sempre a Pavia in sei fasi: Tac, segmentazione, modello virtuale, stampa in 3D, pianificazione chirurgica, intervento minimamente invasivo.

Paolo Parchi, della Clinica ortopedica universitaria di Pisa spinge per inserire i modelli 3D nel percorso formativo: «un chirurgo apprende solamente se mette le mani su un cadavere o su un paziente. E nel primo caso è costoso e difficile: in Italia si può fare solo ad Arezzo o altrimenti si deve andare all’estero». Ha quindi sviluppato un simulatore con immagini tac, software semiautomatico per creare modello 3D reale. Una volta stampato il modello viene inserito in un simulatore fisico, praticamente un manichino, nella stessa posizione che trova sul tavolo operatorio.

Il neurochirurgo lecchese Villiam Dallolio può essere ritenuto il decano di IDBN, dato che usa la stampa 3D da 20 anni. Ha ricordato come nel 1999 molti interventi di cranio plastica fallivano per il 25% dei casi, in particolare quelli eseguiti con l’osso autologo. Ha così creato il metodo Skullpturas, con produzione del pezzo in remoto in 48 ore e con tutti i vantaggi ormai chiari: visione di insieme, programmazione, simulazione e consenso informato. Una così lunga militanza nel 3D a supporto della neuroichirurgia ha prodotto grande seguito? No: «la maggioranza dei neurochirurghi è refrattaria ad adottare la stampa 3D, dice di non averne bisogno perché la soluzione è già tutta in mente».

Gli ostacoli all’adozione della stampa 3D in medicina sono nel sistema medicale stesso, a quanto pare. A dispetto di quanto afferma la scuola israeliana, per la quale “la simulazione chirurgica è un imperativo etico“. Un concetto per il quale IDBN ha intenzione di battersi.

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